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FOCUSCIENCE
19 Novembre 2025
Una classificazione della sindrome corticobasale (CBS) basata su biomarcatori
Autori: Palleis C. et al., A Biomarker-Based Classification of Corticobasal Syndrome, Movement Disorders, 2025
Articoli disponibili su: https://movementdisorders.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/mds.70070
La sindrome corticobasale (CBS) è un’entità clinica complessa, caratterizzata da disturbi motori e cognitivi — aprassia, distonia, rigidità asimmetrica, mioclonie, disfunzioni esecutive e visuospaziali - e riconosciuta oggi come un fenotipo condiviso da differenti patologie neurodegenerative.
• Tauopatie a 4R (4-repeat tau): progressive supranuclear palsy (PSP) e corticobasal degeneration (CBD) (~50%);
• Patologia di Alzheimer (AD) con patologia mista 3R/4R tau e Aβ (~25–40%);
• Meno frequentemente sinucleinopatie di tipo Lewy (LTS), proteinopatie TDP-43 o forme miste (12–30%).
Di fronte a questa eterogeneità biologica, la definizione puramente clinica della CBS si è rivelata insufficiente per predire la patologia sottostante. Con l’avvento di terapie disease-modifying specifiche per tipo proteico (anti-tau, anti-Aβ, anti-α-sinucleina), diventa essenziale identificare in vivo il substrato molecolare individuale della sindrome corticobasale.
Obiettivi e impostazione dello studio
Palleis e colleghi (Palleis C. et al., A Biomarker-Based Classification of Corticobasal Syndrome, Movement Disorders, 2025) hanno condotto il primo studio prospettico mirato a una classificazione biologica della CBS basata su biomarcatori multipli.
L’obiettivo era duplice: da un lato, identificare la combinazione di patologie proteiche presenti in ciascun paziente mediante l’uso di biomarcatori specifici per β-amiloide (Aβ), tau patologica e α-sinucleina (αSyn); dall’altro, valutare in che misura tali sottotipi molecolari si associno a differenze cliniche, cognitive, e di progressione della malattia.
Lo studio ha incluso 50 pazienti con diagnosi di CBS secondo i criteri della Movement Disorder Society (MDS) per il fenotipo PSP-CBS e quelli di Armstrong per il fenotipo CBD-CBS. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a una caratterizzazione clinica dettagliata, esami di imaging molecolare e analisi liquorali.
La β-amiloide è stata valutata tramite il rapporto Aβ42/40 nel liquido cerebrospinale e/o PET amiloide; la patologia tau con PET tau, mentre la presenza di α-sinucleina patologica mediante seed amplification assay (SAA) nel liquido cerebrospinale. Il dosaggio del neurofilamento a catena leggera (NfL) ha completato il profilo come indicatore aspecifico di neurodegenerazione.
Risultati principali
I risultati hanno mostrato che la grande maggioranza dei pazienti (90%) presentava positività per la tau, mentre il 28% risultava positivo per β-amiloide e il 24% per α-sinucleina. Questi dati riflettono un’elevata frequenza di tauopatie, ma anche una percentuale non trascurabile di patologie miste o sinucleiniche.
Sulla base della combinazione di positività e negatività dei tre biomarcatori, gli autori hanno definito sei sottotipi molecolari distinti di CBS, presumibilmente corrispondenti a diverse entità neuropatologiche.
È interessante notare che la positività per α-sinucleina era più comune nei casi con profilo AD-CBS (36%) rispetto ai tau-predominanti (16%), suggerendo che la co-occorrenza di patologia α-sinucleinica e amiloide non sia rara.
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Sottotipo |
Biomarcatori |
Frequenza |
Patologia sottostante presunta |
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Tau-predominante |
Aβ– / Tau+ / αSyn– |
52% |
Tauopatia a 4R (PSP, CBD) |
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Alzheimer (AD-CBS) |
Aβ+ / Tau+ / αSyn– |
18% |
Malattia di Alzheimer (3R/4R tau + Aβ) |
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AD + Lewy |
Aβ+ / Tau+ / αSyn+ |
10% |
AD con co-patologia sinucleinica |
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Tau + Lewy |
Aβ– / Tau+ / αSyn+ |
10% |
Tauopatia con co-patologia α-sinucleinica |
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Lewy isolata |
Aβ– / Tau– / αSyn+ |
4% |
Sinucleinopatia pura |
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Non classificabili |
Aβ– / Tau– / αSyn– |
6% |
Probabile TDP-43 o altra patologia non identificata |
Correlazioni cliniche e biologiche
Sul piano clinico e biochimico, la classificazione biomolecolare si è rivelata altamente informativa.
I pazienti Aβ-positivi (AD-CBS) hanno mostrato un profilo cognitivo significativamente più compromesso, con punteggi Montreal Cognitive Assessment (MoCA) e Dementia Apraxia Test (DATE) inferiori rispetto ai pazienti Aβ-negativi, in linea con l’estesa compromissione corticale tipica della malattia di Alzheimer.
I pazienti Tau-positivi tendevano a presentare punteggi più elevati alla PSP Rating Scale (PSPRS), indice di una maggiore gravità motoria e di un coinvolgimento più marcato dei circuiti sottocorticali, anche se la differenza non ha raggiunto la significatività statistica a causa delle dimensioni ridotte del gruppo Tau-negativo.
Di notevole interesse, la presenza di α-sinucleina patologica è risultata associata a sintomi motori più lievi, progressione clinica più lenta e livelli di NfL più bassi, indicando un minore grado di neurodegenerazione globale. Questi dati suggeriscono che la sinucleinopatia possa, in alcuni casi, modulare favorevolmente l’espressione clinica del CBS, o rappresentare una forma biologicamente distinta a evoluzione più indolente.
Evoluzione longitudinale
Un sottogruppo di 24 pazienti è stato seguito longitudinalmente per un periodo medio di 1,9 anni. L’analisi dei modelli lineari a effetti misti ha confermato un incremento medio annuale del punteggio PSPRS di circa 7 punti, a testimonianza della progressiva disabilità motoria. Tuttavia, il tasso di peggioramento era significativamente inferiore nei pazienti αSyn-positivi rispetto agli αSyn-negativi (3,6 contro 8,5 punti/anno, p<0,05), suggerendo ancora una volta un decorso clinico più lento nelle forme con componente sinucleinopatica.
Non sono state invece osservate differenze significative nell’aumento longitudinale dei livelli di NfL tra i diversi sottogruppi, sebbene i valori basali più bassi negli αSyn-positivi indichino una minore severità neurodegenerativa globale.
Discussione e implicazioni
Questo studio fornisce per la prima volta una mappa biologica in vivo della CBS, evidenziando che la sindrome, più che una malattia specifica, costituisce un fenotipo clinico convergente di diverse proteinopatie.
La combinazione di PET Tau, PET Amiloide e SAA α-sinucleina permette una classificazione molecolare parallela a quella neuropatologica post-mortem, consentendo di riconoscere le principali categorie patogenetiche (tauopatiche, Alzheimeriane, sinucleiniche e miste).
Dal punto di vista clinico, questa stratificazione ha una rilevanza: i pazienti AD-CBS tendono ad avere una prognosi cognitiva peggiore e una maggiore compromissione corticale, mentre i pazienti Tau-predominanti mostrano un fenotipo motorio più severo.
Le forme con co-patologia α-sinucleinica, al contrario, sembrano presentare un decorso più benigno e minori marcatori di degenerazione assonale, il che potrebbe riflettere meccanismi neurobiologici distinti o interazioni competitive tra proteine misfolded.
La presenza di co-patologie Aβ e αSyn solleva questioni critiche sui meccanismi della malattia, sulla progressione e sulla sequenza temporale degli eventi patologici. Comprendere come queste proteine interagiscano e quale si manifesti per prima nel corso della malattia rimane una questione aperta, ma la possibilità di definire tali patologie sottostanti in vivo apre nuove prospettive sia per la ricerca sia per la medicina di precisione.
Limiti dello studio
Tra i limiti dello studio, annoveriamo il campione relativamente piccolo e monocentrico: lo studio ha incluso 50 pazienti, reclutati in un unico centro (LMU Monaco). Pur trattandosi di una coorte ampia per una patologia rara come CBS, la numerosità ridotta limita la potenza statistica.
La classificazione “biomarker-based” si basa interamente su dati in vivo (CSF e PET), senza conferma post-mortem. Sebbene i biomarcatori impiegati siano altamente specifici, la conferma neuropatologica rimane il gold-standard per la diagnosi.
L'αSyn SAA potrebbe anche avere una sensibilità limitata per la LTS a predominanza dell'amigdala o del bulbo olfattivo, evidenziando la necessità di imaging PET dell'αSyn in futuro, che possa anche consentire la valutazione della distribuzione spaziale dell'αSyn.
L’analisi longitudinale potrebbe sottostimare la progressione della malattia nei pazienti più gravemente colpiti, poiché questi individui hanno meno probabilità di sottoporsi alle visite di follow-up.
Conclusione
Il lavoro di Palleis e colleghi segna un passaggio cruciale verso una riclassificazione biologica della CBS, analogamente a quanto già avvenuto con la classificazione ATN nella malattia di Alzheimer o con i recenti framework SynNeurGe e NSD-ISS per la malattia di Parkinson.
Le implicazioni di questa prospettiva sono rilevanti: da un lato, la possibilità di una diagnosi più accurata e precoce; dall’altro, la possibilità di creare coorti omogenee per trial terapeutici, in cui i pazienti vengano selezionati sulla base della proteina patologica predominante (tau, Aβ o α-sinucleina).
In prospettiva, questa classificazione biomolecolare potrà guidare strategie terapeutiche personalizzate, che tengano conto anche delle frequenti co-patologie.
Questa nuova classificazione rappresenta un passo decisivo verso una medicina di precisione nei disturbi del movimento, consentendo di integrare la diagnosi clinica con quella biologica e di orientare lo sviluppo di terapie mirate in base alla proteina patologica predominante.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
23 Ottobre 2025
ASA–PD: una nuova tecnologia per visualizzare su larga scala degli oligomeri di α-sinucleina nel tessuto cerebrale
Autori: Andrews, R., Fu, B., Toomey, C.E.
Articoli disponibili su:
https://www.nature.com/articles/s41551-025-01496-4
Nonostante la malattia di Parkinson sia tradizionalmente definita dalla presenza dei corpi di Lewy, è sempre più evidente che le forme precoci e solubili di α-sinucleina — note come oligomeri — svolgono un ruolo chiave nei meccanismi di neurodegenerazione. Un recente studio (Andrews, R., Fu, B., Toomey, C.E. et al. Large-scale visualization of α-synuclein oligomers in Parkinson’s disease brain tissue. Nat. Biomed. Eng (2025)) ha presentato una tecnologia di imaging ad alta sensibilità chiamata Advanced Sensing of Aggregates – Parkinson’s Disease (ASA-PD), che consente di visualizzare su larga scala, mappare e quantificare gli oligomeri di α-sinucleina nel tessuto cerebrale di soggetti con malattia di Parkinson (PD).
Dal punto di vista patologico, la malattia di Parkinson è caratterizzata da perdita neuronale accompagnata dall'accumulo di aggregati di α-sinucleina su scala microscopica chiamati corpi di Lewy e neuriti di Lewy.
L'aggregazione proteica avviene attraverso l'autoassemblaggio dell'α-sinucleina monomerica in piccoli aggregati proteici, che vanno incontro a crescita e conversione strutturale in specie intermedie solubili, tra cui piccole specie fibrillari e oligomeri amorfi.
Secondo l’attuale ipotesi patogenetica, la tossicità neuronale non deriverebbe direttamente dagli aggregati macroscopici, che rappresentano una fase terminale del processo, bensì dagli oligomeri. Infatti, in colture cellulari e modelli animali, è stato dimostrato che gli oligomeri causano neurotossicità e morte neuronale.
Tuttavia, la conferma sperimentale diretta di tale ipotesi è stata finora ostacolata dall’impossibilità di visualizzare le strutture oligomeriche nel tessuto cerebrale umano con le tecniche di microscopia convenzionali, a causa delle dimensioni nanometriche di tali specie.
Gli oligomeri sono stati studiati principalmente utilizzando proteine ricombinanti, ma questi aggregati non sono identici agli assemblaggi oligomerici presenti nei tessuti umani; inoltre, la diversità dei protocolli di preparazione per gli oligomeri ricombinanti può generare aggregati con caratteristiche disomogenee. Ciò rende necessari studi sulle proteine native.
Identificare i piccoli aggregati endogeni nel cervello umano rappresenta una sfida, in primis per la mancanza di strumenti con sensibilità adeguata. I Proximity-ligation assays (PLA) hanno permesso di verificare la presenza di piccoli aggregati di α-sinucleina mediante amplificazione del segnale. Tuttavia, la visualizzazione diretta di assemblaggi su scala nanometrica nel tessuto cerebrale non è stata finora possibile, il che limita la nostra comprensione del ruolo di queste specie.
L'osservazione di aggregati proteici è relativamente di routine in condizioni in vitro, ma il rilevamento di piccole specie in vivo è difficoltoso a causa dello scarso rapporto segnale/rumore nei tessuti. L'elevata intensità di fondo, causata dall'autofluorescenza tissutale, agisce come un rumore di fondo che oscura la presenza di oggetti con scarsa intensità di segnale come le specie oligomeriche.
Per superare tali limitazioni, Andrews e collaboratori hanno sviluppato la piattaforma Advanced Sensing of Aggregates–Parkinson’s Disease (ASA–PD), un sistema di imaging e analisi quantitativa in grado di rilevare aggregati di α-sinucleina su scala nanometrica direttamente nel tessuto cerebrale post-mortem.
La metodologia integra tre innovazioni principali: (1) la soppressione dell’autofluorescenza intrinseca del tessuto mediante l’utilizzo del colorante Sudan Black B, che riduce il rumore di fondo di oltre il 90% e permette di isolare il segnale estremamente debole degli oligomeri; (2) l’impiego di microscopia a fluorescenza ad alta apertura numerica (NA = 1.49), capace di aumentare la raccolta di fotoni e migliorare la risoluzione; e (3) un algoritmo di analisi computazionale open-source in grado di identificare automaticamente gli aggregati in base a parametri morfologici e fotometrici.
Applicando la tecnica ASA–PD a campioni post-mortem della corteccia cingolata anteriore provenienti da pazienti con PD (stadio Braak 5–6) e da controlli sani (HC), gli autori hanno analizzato oltre 1,2 milioni di aggregati di α-sinucleina, generando un dataset senza precedenti per estensione e risoluzione.
In accordo con gli studi classici di neuropatologia nei cervelli di pazienti affetti da PD, i ricercatori hanno osservato un aumento di sei volte nel numero di aggregati al di sopra del limite di diffrazione nei pazienti affetti da PD rispetto ai campioni di HC e un aumento di 21 volte per gli aggregati >5 µm, ovvero dimensioni degli aggregati in linea con la patologia di Lewy.
Tuttavia, la scoperta più significativa riguarda l’identificazione di una sottopopolazione di aggregati nanometrici altamente brillanti e specifici della malattia di Parkinson, praticamente assente nei tessuti di controllo.
Questi oligomeri patologici si distinguono per alcune caratteristiche chiave: una maggiore intensità fluorescente, indice di elevata densità molecolare; una resistenza alla degradazione proteolitica da parte della Proteinasi K, che suggerisce una struttura conformazionale più ordinata e ricca di β-foglietti; e una capacità di “seeding”, ossia di indurre altre molecole di α-sinucleina a conformarsi in modo patologico, come dimostrato mediante seed amplification assays (SAA).
Analisi biochimiche complementari – tra cui PLA, cromatografia di esclusione (SEC) e saggi ELISA – hanno confermato che le differenze osservate non derivano da variazioni nella quantità totale di α-sinucleina, ma da un’alterazione nella sua distribuzione conformazionale e nella presenza di forme ad alto peso molecolare.
Questa “firma” morfologica e biochimica distingue gli oligomeri patologici da quelli fisiologici presenti nei controlli. Nei cervelli sani, infatti, piccoli aggregati di α-sinucleina potrebbero avere un ruolo fisiologico, contribuendo alla regolazione dell’attività sinaptica e al mantenimento dell’omeostasi proteica.
Un ulteriore aspetto di rilievo dello studio riguarda la distribuzione spaziale di tali oligomeri. L’analisi statistica delle immagini ha mostrato che le forme patologiche tendono a disporsi in cluster, spesso localizzati in prossimità di neuroni, astrociti e microglia, ma non in corrispondenza degli oligodendrociti. Ciò suggerisce che il microambiente cellulare giochi un ruolo determinante nella formazione, nella stabilità e nella potenziale diffusione degli aggregati di α-sinucleina.
Nel complesso, i risultati di Andrews e colleghi delineano un modello secondo cui l’α-sinucleina nel cervello umano esiste in un continuum strutturale che va dai monomeri fisiologici agli oligomeri solubili, fino alle fibrille e ai corpi di Lewy.
L'ASA-PD ha rivelato un'abbondanza di aggregati su scala nanometrica sia nel tessuto dei soggetti di controllo che in quello dei soggetti con PD. La loro presenza sia nei soggetti sani sia in quelli malati suggerisce che piccoli aggregati di α-sinucleina si formino in condizioni fisiologiche, dove la loro formazione e rimozione sono mantenute in equilibrio dal sistema di omeostasi proteica. Nei cervelli sani, piccoli aggregati possono avere un ruolo fisiologico, ad esempio nella regolazione sinaptica.
Nella malattia di Parkinson, invece, una frazione di tali aggregati subisce una transizione conformazionale patologica, acquisendo caratteristiche di stabilità, insolubilità e tossicità, e fungendo da nucleo per la successiva formazione di fibrille e inclusioni di Lewy.
Utilizzando ASA-PD, appare possibile misurare ogni fase del percorso di aggregazione proteica presente nel cervello affetto da malattia.
In conclusione, lo studio fornisce la prima evidenza diretta della presenza, nel cervello umano, di oligomeri di α-sinucleina specifici della malattia di Parkinson, rafforzando l’ipotesi che queste forme rappresentino una fase precoce e determinante del processo patogenetico.
L’approccio ASA–PD, consentendo la visualizzazione e la quantificazione di tali specie su scala nanometrica, apre nuove prospettive per la comprensione dei meccanismi molecolari della neurodegenerazione e per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate alle fasi iniziali dell’aggregazione proteica.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
8 Ottobre 2025
La sindrome metabolica è legata a un aumento del rischio di malattia di Parkinson
Autori: Zhang X, Wang J, Dove A, Yu T, Li Q, Gottesman RF, Xu W.
Articoli disponibili su:
https://www.neurology.org/doi/full/10.1212/WNL.0000000000214033
La sindrome metabolica (MetS) è un insieme di anomalie metaboliche tra cui obesità addominale, alterata glicemia a digiuno, ipertensione e dislipidemia. Colpisce 1 adulto su 4 in tutto il mondo e rappresenta un fattore di rischio ben noto per un ampio spettro di malattie croniche, tra cui malattie cardiovascolari, diabete, demenza e tumori.
Precedenti studi sulla relazione tra MetS e malattia di Parkinson (PD) hanno prodotto risultati contrastanti.
Uno studio pubblicato su Neurology (Zhang X, Wang J, Dove A, Yu T, Li Q, Gottesman RF, Xu W. Metabolic Syndrome and Incidence of Parkinson Disease: A Community-Based Longitudinal Study and Meta-Analysis. Neurology. 2025 Sep 23;105(6):e214033.) ha mostrato nuovi dati sulla correlazione tra MetS e rischio di sviluppare PD.
Nello specifico, i ricercatori hanno esaminato l'associazione tra MetS e le sue componenti e l'incidenza di PD e poi hanno condotto una metanalisi di questi dati con i risultati di 8 studi precedenti. Utilizzando un punteggio di rischio poligenico, hanno poi indagato se la predisposizione genetica al PD modificasse le associazioni osservate.
Si tratta di uno studio di coorte prospettico su larga scala, che ha incluso 467.200 soggetti adulti senza PD di età compresa tra 37 e 73 anni, provenienti dalla UK Biobank, 177.407 dei quali (37,97%) affetti da sindrome metabolica.
Durante un follow-up mediano di 14.6 anni, 3.222 partecipanti hanno sviluppato PD. Il rischio di ammalarsi di PD è risultato del 39% più elevato per i partecipanti con MetS rispetto a quelli senza MetS.
È interessante notare che avere un numero maggiore di componenti della MetS era associato in modo dose-dipendente a un rischio più elevato di PD (HR, 1.14; P per trend = 0.001).
Utilizzando un punteggio di rischio poligenico, i ricercatori hanno poi indagato se la predisposizione genetica alla malattia di Parkinson modificasse le associazioni osservate.
Il punteggio di rischio poligenico correlato al PD (PD-PRS) è stato calcolato sulla base della presenza di 26 alleli correlati al PD.
Il rischio di PD era più alto tra i partecipanti con MetS e PD-PRS elevato (HR: 2.58 [2.12–3.14]; riferimento: senza MetS, PD-PRS basso).
Inoltre, i risultati suggeriscono che potrebbe esserci un effetto sinergico tra predisposizione genetica e MetS sul rischio di PD. Infatti, le persone con MetS e PD-PRS elevato avevano quasi il doppio del rischio di PD rispetto a quelle con MetS e PD-PRS basso (1.69 [1.40–2.04], p < 0.001).
Dopo la metanalisi, il rischio di PD correlato alla sindrome metabolica è rimasto significativo al 29%.
Nella metanalisi, obesità addominale, ipertensione, colesterolo HDL basso e iperglicemia sono stati tutti associati a un aumentato rischio di PD, mentre l'ipertrigliceridemia non lo era. Questo risultato suggerisce che specifiche componenti della MetS potrebbero essere più fortemente correlate alla malattia di Parkinson e potrebbero quindi trarre i maggiori benefici da strategie preventive volte a ridurre il rischio di PD. Ciò merita una considerazione più approfondita in studi futuri.
Diversi potenziali meccanismi potrebbero essere alla base dell'associazione tra MetS e PD. Singoli componenti della MetS, tra cui obesità, ipertensione, ipertrigliceridemia, dislipidemia e iperglicemia, possono contribuire individualmente all'insulino-resistenza, allo stress ossidativo e all'infiammazione cronica. Questi a loro volta possono portare alle alterazioni patologiche associate alla malattia di Parkinson, tra cui la compromissione dei neuroni dopaminergici, la rottura della barriera emato-encefalica e la neuroinfiammazione.
I punti di forza di questo studio includono il disegno di coorte prospettico, l'ampia dimensione del campione e la procedura completa di raccolta dati. Inoltre, l'aggiunta di una metanalisi rafforza il valore delle conclusioni.
Tra i limiti dello studio, va annoverato il fatto che la popolazione della UK Biobank era prevalentemente di origine europea bianca, pertanto i risultati potrebbero non essere generalizzabili ad altre popolazioni.
In secondo luogo, i partecipanti alla UK Biobank, in quanto volontari, erano più sani e più avvantaggiati dal punto di vista socioeconomico rispetto alla popolazione generale del Regno Unito. Ciò potrebbe aver portato ad una sottostima della forza dell'associazione tra MetS e PD.
Inoltre, la malattia di Parkinson incidente è stata identificata principalmente sulla base delle cartelle cliniche, che presentano un'elevata specificità (ovvero, un basso rischio di falsi positivi) ma una bassa sensibilità (ovvero, un alto rischio di falsi negativi). Di conseguenza, alcuni casi di PD in fase iniziale potrebbero non essere stati rilevati, contribuendo potenzialmente a una sottostima della relazione osservata tra MetS e rischio di PD.
Infine, il PD è caratterizzato da una fase preclinica estesa ed è possibile che essere affetti da PD in fase iniziale possa influenzare lo sviluppo della MetS (ad esempio, influenzando le abitudini di attività fisica di un individuo o la gestione medica di altre comorbilità). Tuttavia, per affrontare questo problema, i ricercatori hanno eseguito un'analisi di sensibilità escludendo i partecipanti con probabile PD preclinico/prodromico (ovvero, casi incidenti di PD verificatisi entro i primi 3 anni di follow-up); i risultati erano coerenti con le analisi principali.
La MetS è un fattore di rischio ampiamente modificabile, attraverso interventi farmacologici e sullo stile di vita, come dieta, esercizio fisico e gestione del peso; ciòe’ la rende un bersaglio ideale per potenziali strategie preventive.
I risultati di questo studio mettono in evidenza la possibilità che la MetS possa fungere da fattore di rischio modificabile per PD.
Sono necessari ulteriori ricerche per verificare se interventi per controllare la MetS o ridurre il numero di componenti della MetS possano effettivamente contribuire alla prevenzione della malattia di Parkinson.
Inoltre, i risultati suggeriscono che potrebbe esserci un effetto sinergico tra predisposizione genetica e MetS sul rischio di PD.
Ciò suggerisce che il mantenimento della salute metabolica potrebbe essere particolarmente importante per gli individui con un'elevata predisposizione genetica alla malattia di Parkinson.
Se la prevenzione o la mitigazione della MetS possano modificare il rischio di PD tra i soggetti con un'elevata predisposizione genetica richiede un'analisi più approfondita in studi futuri.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
24 Settembre 2025
L’esercizio fisico ad alta intensità migliora i sintomi non motori della malattia di Parkinson: risultati dallo studio INTENSO
Autori: Capecci
M, Baldini N, Andrenelli E, Lambertucci A, Bisoglio P, Grugnetti M, Margherita
H, Ceravolo MG. Impact
of an intensive outpatient rehabilitation on non-motor patients' reported
outcomes in PD: the INTENSO study.
Articoli disponibili su:
NPJ Parkinsons Dis. 2025 Jun 20;11(1):178. doi: 10.1038/s41531-025-01035-7. PMID: 40541958; PMCID: PMC12181338.
Numerosi studi hanno dimostrato gli effetti positivi dell’esercizio fisico sui sintomi motori e non motori e sulla qualità della vita dei pazienti con malattia di Parkinson (MP).
Parallelamente al miglioramento dei sintomi clinici, l'attività fisica modula una serie di processi per il mantenimento e la plasticità cerebrali, tra cui neurogenesi, sinaptogenesi ed angiogenesi. L'esercizio offre questi benefici sulla MP inibendo lo stress ossidativo, riparando il danno mitocondriale e promuovendo la produzione di fattori di crescita.
Di conseguenza, l’attività fisica è sempre più considerata una strategia complementare al trattamento farmacologico per la MP.
Nonostante i riconosciuti vantaggi dell'esercizio fisico per le persone con MP, occorrono raccomandazioni specifiche in termini di frequenza, intensità e durata dell’allenamento, con l’obiettivo di sviluppare strategie riabilitative efficaci per ottimizzare la gestione della malattia e migliorare la salute dei pazienti.
Uno studio italiano recentemente pubblicato su Npj Parkinson’s disease (Capecci M, Baldini N, Andrenelli E, Lambertucci A, Bisoglio P, Grugnetti M, Margherita H, Ceravolo MG. Impact of an intensive outpatient rehabilitation on non-motor patients' reported outcomes in PD: the INTENSO study. NPJ Parkinsons Dis. 2025 Jun 20;11(1):178. doi: 10.1038/s41531-025-01035-7. PMID: 40541958; PMCID: PMC12181338.) ha valutato l'impatto di protocolli riabilitativi di diversa intensità sulla gravità a breve e medio termine dei disturbi non motori nei pazienti con MP.
Si tratta di uno studio di coorte retrospettivo monocentrico, che ha incluso persone affette da MP indirizzate consecutivamente alla struttura di riabilitazione ambulatoriale di un Centro per disturbi del movimento, con sede in un ospedale universitario in Italia.
Il programma riabilitativo prevedeva esercizio aerobico, stretching, esercizi per l’equilibrio, esercizi dual-task e terapia occupazionale.
Gli esiti primari erano le variazioni dei sintomi non motori a breve e medio termine, valutati mediante le scale Non-Motor Symptoms Scale (NMSS) o dalla Movement Disorder Society -Unified Parkinson's Disease Rating Scale (MDS-UPDRS) parte I.
Gli esiti secondari erano le variazioni del carico di disabilità (misurato con la MDS-UPDRS parte II), della gravità dei sintomi motori (MDS-UPDRS parte III), e del freezing of gate (Freezing of Gait- questionnaire, FOG-Q) dopo il trattamento.
Le misurazioni sono state effettuate prima (T0) e dopo il trattamento (T1) e 6 ± 1 mesi dopo T1 (T2).
In base alla durata totale dell'esercizio, 24 pazienti con MP sono stati assegnati al gruppo di allenamento ad alta intensità (HIT, 1800 minuti) e 24 al gruppo di allenamento a bassa intensità (LIT, inferiore a 900 minuti).
Al T1, solo il gruppo HIT ha mostrato miglioramenti clinicamente significativi nei sintomi non motori, che si sono mantenuti al T2. Al contrario, il gruppo LIT ha manifestato un peggioramento della disabilità al follow-up.
L'analisi multivariata ha rivelato che l'intensità dell'allenamento e la disabilità basale sono stati predittori di miglioramento.
L'allenamento intensivo nel gruppo HIT è stato anche il fattore principale nel miglioramento degli endpoint secondari (ovvero, indipendenza nelle ADL, sintomi motori e freezing della deambulazione).
In contrasto con precedenti lavori sulla relazione tra esercizio e sintomi non motori, questo studio ha incluso un campione eterogeneo di persone con MP, includendo anche quelle in fase avanzata (lo stadio di Hoehn e Yahr variava da 1 a 4), distribuito uniformemente tra i due sottogruppi.
Lo studio ha un disegno retrospettivo ed il campione preso in esame ha dimensioni ridotte, il che non ha permesso di determinare quali sintomi non motori, tra quelli valutati dal NMSS o dalla MDS-UPDRS parte I, beneficiassero maggiormente delle diverse intensità di allenamento.
In conclusione, è stato riscontrato un impatto positivo dell'allenamento ad alta intensità sui sintomi non motori a breve e medio termine, ma anche sulla disabilità e sul freezing della marcia.
Questi risultati supportano i benefici dell'esercizio fisico ad alta intensità nella gestione della MP.
È auspicabile la progettazione di uno studio prospettico multicentrico per confermare gli effetti dell'esercizio fisico ad alta intensità sui sintomi non motori nella MP su un campione più ampio.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
9 Settembre 2025
Malattia di Parkinson a esordio precoce (EOPD): quali indagini diagnostiche? Le raccomandazioni del gruppo di studio MDS – EOPD
Autori: Mehanna R, Marras C, Fleisher J, Post B, Kumar KR, Noyce A, Alcalay R, Morris HR, Hatano T, Salari M, Smilowska K, Wu YR, Zhang B, Tan EK, Savica R; EOPD study group.
Articoli disponibili su:
https://
doi:10.1016/j.parkreldis.2025.107852
Mehanna R, Marras C, Fleisher J, Post B, Kumar KR, Noyce A, Alcalay R, Morris HR, Hatano T, Salari M, Smilowska K, Wu YR, Zhang B, Tan EK, Savica R; EOPD study group. Diagnostic work up when suspecting early onset Parkinson disease (EOPD). Recommendations from the MDS EOPD study group. Parkinsonism Relat Disord. 2025 Jun;135:107852. doi: 10.1016/j.parkreldis.2025.107852.
La malattia di Parkinson ad esordio precoce (EOPD) è stata definita la malattia di Parkinson (PD) con esordio dei sintomi motori dopo i 21 anni, ma prima dei 50 anni (mentre per PG giovanile si intende la malattia con esordio prima dei 21 anni e con PD ad esordio tardivo ci si riferisce alla malattia con esordio dopo i 50 anni). Sebbene i criteri diagnostici siano chiari, esistono numerose controversie riguardo il work-up diagnostico da effettuare nel sospetto clinico di EOPD. Questo può comportare il rischio di indagini eccessive con ritardo nella diagnosi e nell’inizio del trattamento.
Seguendo il metodo Delphi, i membri del comitato direttivo del gruppo di studio sull'EOPD dell'International Parkinson Disease and Movement Disorder Society (MDS) hanno stabilito le raccomandazioni in merito agli accertamenti necessari per la diagnosi di EOPD (Mehanna R, Marras C, Fleisher J, Post B, Kumar KR, Noyce A, Alcalay R, Morris HR, Hatano T, Salari M, Smilowska K, Wu YR, Zhang B, Tan EK, Savica R; EOPD study group. Diagnostic work up when suspecting early onset Parkinson disease (EOPD). Recommendations from the MDS EOPD study group. Parkinsonism Relat Disord. 2025 Jun;135:107852. doi: 10.1016/j.parkreldis.2025.107852).
Il primo passo è un'anamnesi dettagliata. Oltre a confermare i sintomi di rallentamento motorio, rigidità e/o tremore, occorre raccogliere eventuali indizi non consistenti con la diagnosi di PD idiopatica, ma suggestivi di forme secondarie o genetiche di parkinsonismo. Fondamentale è escludere l'esposizione a farmaci o sostanze in grado di causare parkinsonismo. Inoltre, la presenza di una storia familiare positiva per PD, o la presenza di segni piramidali, crisi epilettiche, sintomi cerebellari, cognitivi o psichiatrici può suggerire specifiche forme genetiche. La nulla o scarsa risposta alla L-dopa può infine suggerire un parkinsonismo atipico.
Il secondo step è un esame neurologico accurato, per confermare la presenza di bradicinesia con tremore a riposo e/o rigidità ed escludere segni suggestivi di altre cause di parkinsonismo.
La fase successiva riguarda gli esami di neuroimmagine. Il comitato raccomanda di eseguire una risonanza magnetica (RM) cerebrale in tutti i pazienti in cui si sospetta un EOPD, per escludere cause strutturali e per ricercare segni suggestivi di una condizione sottostante, come l'ipointensità T2*/SWI dei gangli della base nella neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro (NBIA) o l'iperintensità T2 del putamen nella malattia di Wilson. Il comitato non raccomanda il ricorso sistematico del DaTscan per la diagnosi di EOPD, in quanto questo ha un valore limitato nel distinguere l'EOPD idiopatica dalle forme secondarie. Può comunque essere utile per distinguere l'EOPD dal tremore essenziale, dal parkinsonismo indotto da farmaci, dalla distonia responsiva alla L-dopa o dai disturbi funzionali del movimento, nel contesto clinico appropriato.
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, si suggerisce di indagare sistematicamente la possibile malattia di Wilson mediante il dosaggio della ceruloplasmina sierica e del rame nelle urine delle 24 ore, in quanto tale condizione può essere facilmente misdiagnosticata ed è potenzialmente trattabile. Il dosaggio ematico del TSH e del T4 è stato considerato parte del percorso diagnostico standard del paziente che si rivolge ad un centro per lo studio ed il trattamento dei disturbi del movimento.
A meno che non sia giustificato dall'anamnesi o dall'esame obiettivo, il comitato non raccomanda un'indagine sistematica per malattie autoimmuni, paraneoplastiche o della tiroide.
Infine, il test genetico non è necessario per formulare la diagnosi di EOPD, ma viene raccomandato per identificare una potenziale eziologia genetica o molecolare. In particolare, si raccomanda di ordinare un pannello completo per il parkinsonismo seguito dal whole exome sequencing.
In conclusione, se si sospetta un'EOPD idiopatica, in base all'anamnesi e all'esame obiettivo, senza ulteriori riscontri riguardanti un parkinsonismo secondario, atipico o genetico, il gruppo di studio MDS-EOPD raccomanda di limitare le indagini alla RM cerebrale e agli esami di laboratorio per la malattia di Wilson, al fine di accelerare la diagnosi e l'inizio del trattamento appropriato. Sebbene il test genetico non sia necessario per la diagnosi, si raccomanda di eseguire test genetici quando possibile, per identificare una potenziale nuova eziologia genetica.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
27 Agosto 2025
Lewy body disease: il biomarcatore pTau181 predice la co-patologia Alzheimer
Autori:
Ye R, Kivisäkk P, Goodheart A, Fatima H, Peterec E, Thibault E, Properzi M, Johnson K, Arnold S, N Gomperts S.
Articoli disponibili su:
https://doi.org/10.1002/mds.30238
La proteina tau181 fosforilata nel plasma (pTau181) si sta dimostrando un utile predittore della malattia di Alzheimer (AD).
Le alterazioni patologiche dell’AD, tra cui placche amiloidi e grovigli neurofibrillari (NFT), sono comuni in tutto lo spettro della malattia a corpi di Lewy (LBD), tra cui la malattia di Parkinson (PD), la malattia di Parkinson con demenza (PDD) e la demenza a corpi di Lewy (DLB). La presenza delle alterazioni patologiche tipiche dell’AD nella LBD è stata costantemente associata ad un tasso più rapido di declino cognitivo.
Con l'avvento degli anticorpi anti-amiloide per l'AD, è emersa la necessità di biomarcatori per rilevare la co-patologia AD nella LBD per la selezione e la stratificazione dei pazienti negli studi clinici; inoltre, tali biomarcatori hanno un valore prognostico per la progressione di malattia nella pratica clinica.
In uno studio pubblicato sulla rivista Movement Disorders (Ye, R., Kivisäkk, P., Goodheart, A., Fatima, H., Peterec, E., Thibault, E., Properzi, M., Johnson, K., Arnold, S. and N. Gomperts, S. (2025), Plasma Phosphorylated Tau181 as a Biomarker for Alzheimer's Disease Co-Pathology in Lewy Body Disease. Mov Disord.), i livelli di pTau181 plasmatica sono stati misurati in 53 pazienti con DLB, 129 soggetti di controllo sani e 67 soggetti con AD. Sono state condotte valutazioni autoptiche su 24 casi di DLB.
L’obiettivo dello studio era determinare se pTau181 nella DLB fosse associato alle alterazioni neuropatologiche post-mortem della malattia di Alzheimer (ADNC) e alle misurazioni in vivo della deposizione di β-amiloide e tau mediante tomografia a emissione di positroni (PET) e all'atrofia corticale.
Risultati
I livelli plasmatici di pTau181 nei partecipanti con DLB erano più alti rispetto ai partecipanti sani e più bassi rispetto ai partecipanti con AD; tale biomarcatore è stato in grado di differenziare la LBD A+T+ dalla LBD A–T– con una precisione del 91%.
I livelli plasmatici di pTau181 erano correlati alle alterazioni patologiche AD (ADNC) (rho = 0,64, P < 0,001) ed erano più alti nei casi con ADNC alto e intermedio rispetto a quelli con ADNC basso o assente
Il pTau181 plasmatico in DLB è risultato moderatamente correlato con lo stadio di Thal, lo stadio del groviglio neurofibrillare di Braak (NFT) e i punteggi CERAD (Consortium to Establish a Registry for Alzheimer's Disease), ma non con lo stadio di Braak a corpi di Lewy.
L'aumento di pTau181 plasmatica era correlato all'atrofia corticale nelle regioni cerebrali colpite nelle fasi successive del NFT di Braak, suggerendo che pTau181 rifletta alterazioni neurodegenerative avanzate associate alla patologia tau.
L'aggiunta di pTau181 plasmatico ha migliorato l’accuratezza dei modelli che includevano dati demografici e lo stato APOE ε4 per rilevare la co-patologia dell'AD nella LBD.
Conclusioni
Il pTau181 plasmatico riflette la patologia amiloide e tau, ma non quella da α-sinucleina nella LBD. Il pTau181 plasmatico è un utile indicatore di neurodegenerazione nelle regioni corticali vulnerabili alla patologia NFT e aggiunge valore nell'identificazione della co-patologia dell'AD. Questi risultati supportano il pTau181 plasmatico come strumento di screening conveniente per la co-patologia dell'AD nella LBD.
Punti di forza
I punti di forza di questo studio includono un ricco set di dati di partecipanti con LBD ben caratterizzati, che consente correlazioni di pTau181 plasmatico sia con l'imaging antemortem che con i risultati neuropatologici. Questo studio rappresenta uno dei primi tentativi di indagare pTau181 plasmatico e i risultati autoptici nel contesto della LBD.
Limiti
La combinazione delle diagnosi di PD e DLB potrebbe aumentare la variabilità. Le dimensioni limitate del campione riducono la potenza statistica. Essendo uno studio trasversale, i risultati non implicano causalità. A questo proposito, future analisi longitudinali potrebbero fornire informazioni utili.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
30 Luglio 2025
Nuovi dati preliminari sulla terapia con cellule staminali per la malattia di Parkinson
Autori: 1. Sawamoto N, Doi D, Nakanishi E, Sawamura M, Kikuchi T, Yamakado H, Taruno Y, Shima A, Fushimi Y, Okada T, Kikuchi T, Morizane A, Hiramatsu S, Anazawa T, Shindo T, Ueno K, Morita S, Arakawa Y, Nakamoto Y, Miyamoto S, Takahashi R, Takahashi J. Phase I/II trial of iPS-cell-derived dopaminergic cells for Parkinson's disease.
2. Tabar V, Sarva H, Lozano AM, Fasano A, Kalia SK, Yu KKH, Brennan C, Ma Y, Peng S, Eidelberg D, Tomishima M, Irion S, Stemple W, Abid N, Lampron A, Studer L, Henchcliffe C. Phase I trial of hES cell-derived dopaminergic neurons for Parkinson's disease.
Articoli disponibili su: https://doi.org/10.1038/s41586-025-08700-0 https://doi.org/10.1038/s41586-025-08845-y
Le terapie cellulari che rigenerano i neuroni dopaminergici cerebrali si stanno rivelando promettenti come trattamento potenzialmente efficace e con minori effetti avversi rispetto alla terapia sintomatica. Fornendo nuovi neuroni del mesencefalo allo striato, la terapia cellulare mira a sostituire le cellule dopaminergiche degenerate e ad ottenere un miglioramento clinico duraturo.
Due studi clinici in fase iniziale recentemente pubblicati su Nature (Sawamoto, N., Doi, D., Nakanishi, E. et al. Phase I/II trial of iPS-cell-derived dopaminergic cells for Parkinson’s disease. Nature 641, 971–977 (2025); Tabar, V., Sarva, H., Lozano, A.M. et al. Phase I trial of hES cell-derived dopaminergic neurons for Parkinson’s disease. Nature 641, 978–983 (2025)) mostrano risultati interessanti sulle terapie con cellule staminali per il trattamento della malattia di Parkinson (MP).
In uno studio di fase 1/2 (Sawamoto, N., Doi, D., Nakanishi, E. et al. Phase I/II trial of iPS-cell-derived dopaminergic cells for Parkinson’s disease. Nature 641, 971–977 (2025)), sette pazienti affetti da MP sono stati sottoposti a trapianto striatale bilaterale di cellule precursori dopaminergiche derivate da cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) umane; i pazienti sono stati trattati con terapia immunosoppressiva con tacrolimus e sono stati monitorati per 24 mesi.
Non si sono verificati eventi avversi gravi durante il periodo di studio e le cellule trapiantate hanno prodotto dopamina senza formare tumori, un rischio grave associato alla terapia con cellule staminali.
Tra i sei pazienti sottoposti a valutazione dell'efficacia, quattro hanno mostrato miglioramenti nel punteggio OFF della Movement Disorder Society Unified Parkinson's Disease Rating Scale (MDS-UPDRS) parte III e cinque hanno mostrato miglioramenti nei punteggi ON. Le variazioni medie di tutti e sei i pazienti sono state rispettivamente di 9,5 (20,4%) e 4,3 punti (35,7%) per i punteggi OFF e ON.
In un altro studio clinico di fase 1 (Tabar, V., Sarva, H., Lozano, A.M. et al. Phase I trial of hES cell-derived dopaminergic neurons for Parkinson’s disease. Nature 641, 978–983 (2025)), un prodotto di cellule progenitrici dopaminergiche "pronto all'uso" (bemdaneprocel) derivato da cellule staminali embrionali umane è stato innestato bilateralmente nel putamen di 12 pazienti con malattia di Parkinson.
Cinque pazienti hanno ricevuto una dose bassa (0,9 milioni di cellule per putamen) e sette una dose alta (2,7 milioni di cellule per putamen); tutti i pazienti sono stati trattati con terapia immunosoppressiva per un anno (basiliximab – terapia steroidea – tacrolimus).
Lo studio ha raggiunto i suoi obiettivi primari di sicurezza e tollerabilità fino a 18 mesi dopo il trapianto, senza eventi avversi correlati al prodotto cellulare.
Gli esiti clinici secondari ed esplorativi hanno mostrato un miglioramento o una stabilità, incluso un miglioramento medio di 23 punti nei punteggi OFF della MDS-UPDRS Parte III nella coorte ad alto dosaggio. Non si sono verificate discinesie indotte dal trapianto.
Per confermare l'efficacia di questi trattamenti sono necessarie ulteriori ricerche. Questi due studi erano, infatti, piccoli studi in aperto. Tuttavia, il fatto che entrambi gli studi abbiano fornito dati incoraggianti sulla sicurezza e abbiano suggerito una possibile efficacia del trattamento rappresenta un passo importante verso l'affermazione della terapia cellulare. Si attendono le prossime fasi degli studi clinici per confermare l'efficacia di questi interventi.
A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
16 Luglio 2025
Nuova classificazione della distonia: cosa cambia
Autori:
Albanese A, Bhatia KP, Fung VSC, Hallett M, Jankovic J, Klein C, Krauss JK, Lang AE, Mink JW, Pandey S, Teller JK, Tijssen MAJ, Vidailhet M, Jinnah HA
Articolo disponibile su: https://doi.org/10.1002/mds.30220
E’ stata recentemente pubblicata una revisione della definizione e classificazione della distonia del 2013 (Albanese, A., Bhatia, K.P., Fung, V.S.C., Hallett, M., Jankovic, J., Klein, C., Krauss, J.K., Lang, A.E., Mink, J.W., Pandey, S., Teller, J.K., Tijssen, M.A.J., Vidailhet, M. and Jinnah, H.A. (2025), Definition and Classification of Dystonia. Mov Disord.) con lo scopo di migliorare alcune criticità ed aggiornare il sistema classificativo precedente con le conoscenze acquisite in questi anni nel campo della genetica delle distonie.
Con il patrocinio del Dystonia Study Group dell'International Parkinson Disease and Movement Disorder Society (MDS), della Dystonia Medical Research Foundation, della Dystonia Coalition e di Dystonia Europe, è stato istituito un Comitato di Consenso Internazionale, composto da ricercatori con esperienza in diversi aspetti della distonia.
La definizione di distonia è stata aggiornata: il riferimento alle "contrazioni muscolari" è stato eliminato, poiché considerata una potenziale fonte di confusione con le patologie neuromuscolari che colpiscono direttamente muscoli o nervi; è stata aggiunta la specificazione che la distonia può anche essere a scatti.
Rispetto alla precedente classificazione, l'Asse I contiene più informazioni. In particolare, è stata inserita la sezione “storia familiare”. La definizione dei termini che si riferiscono alla distribuzione corporea è stata aggiornata; ad esempio, la distonia generalizzata viene ridefinita come un modello di distribuzione che va oltre il segmentale o il multifocale e non rientra nei parametri dell'emidistonia. Le caratteristiche temporali (esordio, decorso, variabilità) sono descritte in modo più dettagliato e includono anche l'esordio della distonia. E’ stata introdotta la categoria “fenomenologia” per descrivere le caratteristiche semeiologiche più rilevanti, in particolare la relazione con il movimento volontario.
L'Asse II fornisce un perfezionamento della classificazione precedente grazie alle maggiori conoscenze riguardanti la complessa eziologia e patogenesi della distonia.
La distonia funzionale (psicogena) è ora elencata tra i sintomi che imitano la distonia; ad essa possono essere applicati criteri specifici, come l'esordio improvviso, la distraibilità e la sopprimibilità.
TABELLA
Principali modifiche introdotte da questa revisione della classificazione della distonia (modificato da Albanese et al., Definition and Classification of Dystonia. Mov Disord. 2025)
ASSE I
Età di esordio - Le fasce di età sono le stesse del 2013. Sono ora fornite specifiche sul riconoscimento dell'esordio della distonia
Anamnesi familiare - Nuova sezione che si riferisce alle informazioni sulla presenza familiare della distonia in base all'albero genealogico
Distribuzione corporea - La definizione dei termini che si riferiscono alla distribuzione corporea è stata aggiornata per un'applicazione più coerente
Dimensioni temporali - Comprende una nuova categoria (insorgenza della distonia), pur mantenendo quelle precedenti, anch'esse riorganizzate e chiarite
Fenomenologia - Nuova sezione introdotta per descrivere la relazione tra distonia e il movimento volontario, nonché caratteristiche aggiuntive
Caratteristiche associate - Sezione riorganizzata e semplificata
ASSE II
Gene - Corrisponde alla categoria "ereditaria" della classificazione del 2013, con lievi miglioramenti
Acquisita - Migliora la categoria "acquisita" della classificazione del 2013
Neuroanatomia - Fornisce una descrizione strettamente anatomica delle lesioni osservate; il descrittore "degenerativa" è stato spostato nella sezione successiva
Meccanismi - Nuova sezione che elenca i meccanismi patogeni più comuni
Qual è il vostro grado di familiarità con la classificazione della distonia?
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A cura di: M. Filidei (A.O. Santa Maria, Terni)
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